quarta-feira, 4 de janeiro de 2017

METODO SCIENTIFICO

Il metodo scientifico è la modalità tipica con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza della realtà oggettivaaffidabileverificabile[2] e condivisibile. Esso consiste, da una parte, nella raccolta di dati empirici sotto la guida delle ipotesi e teorie da vagliare; dall'altra, nell'analisi matematica e rigorosa di questi dati, associando cioè, come enunciato per la prima volta da Galilei, le «sensate esperienze» alle «dimostrazioni necessarie», ossia la sperimentazione alla matematica.[3]
Nel dibattito epistemologico si assiste in proposito alla contrapposizione tra i sostenitori del metodo induttivo e quelli del metodo deduttivo. L'approccio scientifico è valutato diversamente anche in base al suo campo di applicazione, ossia se si riferisce alle scienze naturali, o viceversa a quelle umanistiche[4] (nel primo caso si parla di «scienze dure», nel secondo di «scienze molli»).
Sebbene la paternità ufficiale del metodo scientifico, nella forma rigorosa sopra definita, sia attribuita storicamente a Galileo Galilei,[3] studi sperimentali e riflessioni filosofiche in merito hanno radici anche nell'antichità, nel Medioevo e nel Rinascimento.

Problematiche sulla definizione[modifica | modifica wikitesto]

L'espressione metodo scientifico, in realtà, può essere usata per riferirsi a concetti sensibilmente diversi. In particolare è possibile distinguere essenzialmente due significati principali, anche se esistono molte sfumature e non è possibile trovare una vera e propria soluzione di continuità fra i due concetti.
Da una parte si può intendere il metodo scientifico in un senso astratto, come l'insieme dei criteri (teorici ma anche operativi) sulla base dei quali un risultato, teorico o sperimentale, può essere considerato effettivamente scientifico. In particolare si tratterebbe di quei criteri che permetterebbero di distinguere un discorso scientifico da un discorso metafisico, religioso o pseudoscientifico: si tratta della questione altrimenti nota come problema della demarcazione.[5]
Dall'altra il metodo scientifico può riferirsi più squisitamente alla pratica quotidiana e concreta dello scienziato, o almeno alla pratica adottata dalla comunità scientifica nel suo complesso, nella sua attività di ricerca.
Come si diceva, i due significati non sono completamente avulsi l'uno dall'altro. Si potrebbe sostenere, ad esempio, che se esistono dei criteri di metodo che caratterizzano il discorso scientifico (primo significato) questi dovrebbero per forza essere gli stessi adottati concretamente dagli scienziati nella loro attività quotidiana (secondo significato). D'altra parte è anche vero che il modo di procedere del singolo scienziato può anche essere più o meno fuori da ogni schema (si pensi alle molteplici figure in qualche modo geniali che hanno caratterizzato la storia della scienza e al loro modo di procedere per intuizione e senza alcun metodo sistematico), e che a caratterizzare come scientifici i suoi risultati sono dunque criteri in qualche modo indipendenti dalla sua attività di scoperta e ricerca.
In realtà non c'è un accordo universale sulle regole che possano essere applicate in tutti i contesti e in tutte le discipline per avere garanzia di scientificità. Secondo Frédéric Kerlinger esisterebbero comunque delle differenze peculiari tra il metodo scientifico ed altri metodi per raggiungere la conoscenza della verità. Egli elenca, citando altri autori, quattro metodi variamente usati per acquisire la conoscenza:[6]
  • Metodo della tenacia: si sa che una cosa è vera perché su di essa si fonda la nostra vita e perché si continua a dire che è vera.
  • Metodo dell'autorità: una cosa è vera perché stabilita tale da una autorità riconosciuta (la Bibbia, un grande profeta, un grande scienziato, una organizzazione affidabile)
  • Metodo a priori (o metodo dell'intuizione): una cosa è vera se è in accordo con la ragione, che per naturale inclinazione tende alla verità.
  • Metodo della scienza: per mezzo del quale la nostra sicurezza di sapere è determinata non da qualche fattore umano ma da una realtà esterna, permanente e non influenzata dal nostro pensiero. In questo senso, il metodo scientifico è lo studio sistematicocontrollatoempirico e critico di ipotesi sulle relazioni intercorrenti tra vari fenomeni.
In forte disaccordo con l'idea che si possa attingere con sicurezza il sapere dalla realtà esterna, in maniera induttiva, al riparo dalle deformazioni del nostro pensiero, si schiera invece Popper, secondo il quale noi possiamo vedere solo ciò che la nostra mente produce: una teoria può essere sottoposta a controlli efficaci e dirsi scientifica solo se formulata a priori in forma deduttiva. La peculiarità del metodo scientifico consiste nella possibilità di falsificarla, non nella presunzione di "verificarla".[7]

Il dibattito[modifica | modifica wikitesto]

Queste ed altre sfumature di significato legate al concetto di metodo scientifico sono il motivo per cui, su tale concetto, si è discusso molto e non esiste (ancora) un accordo generalmente condiviso su una possibile definizione del metodo. Il dibattito è estremamente complesso e coinvolge non solo la pratica scientifica ma anche la speculazione filosofica.
Semplificando, il problema della ricerca di una definizione di metodo scientifico si pone come reazione all'evidente successo, pratico e teorico, ottenuto nei secoli dalla scienza, con la convinzione (o la speranza) che tale successo sia riconducibile all'applicazione, appunto, di un metodo semplice e facilmente esportabile a molte altre discipline, se non a tutte. La profonda evoluzione che la scienza ha subito da Galileo ad oggi rende però difficile individuare con precisione una metodologia universalmente applicata ed applicabile nei diversi secoli e nelle diverse discipline.

Cenni storici[modifica | modifica wikitesto]

Il metodo scientifico si sviluppa storicamente, ma il suo nucleo risiede, come detto, nell'uso combinato di matematica ed esperimento. La soluzione di continuità rappresentata da Galileo Galilei a cavallo tra il XVI e il XVII secolo è tale, tuttavia, da rendere improprio l'uso dei termini scienza e scienziato in riferimento ad epoche precedenti, soprattutto per quanto riguarda il problema del metodo scientifico. Prima di Galileo le figure che più si avvicinavano a quella moderna di scienziato erano rappresentate essenzialmente, da una parte, da logici e matematici (e — fino ad allora con poca differenza sostanziale — astronomi), e dall'altra dagli studiosi di filosofia naturale, se si occupavano dell'universo sensibile. Più in generale possiamo dire che con Galileo assistiamo alla nascita della scienza proprio come "distaccamento" dalla filosofia.

Egizi[modifica | modifica wikitesto]

Negli antichi papiri egizi, si possono individuare le forme di un primitivo "metodo scientifico". In particolare, nelle descrizioni di interventi di chirurgia, che indicano anamnesidiagnositerapia e chirurgica dedicata, dalla preparazione del paziente, alla strumentazione, alla tecnica operatoria, fino alla prognosi e al decorso post-operatorio. Inoltre, già in tempi antichissimi, gli Egizi conducevano sofisticate previsioni sui raccolti di grano, in relazione al livello di piena delle acque del Nilo.
Nell'antica civiltà egiziana, però, la medicina generale era intesa in modo diverso: i papiri di terapia medica illustrano pratiche legate a superstizioni e credenze religiose, piuttosto che al collegamento diretto fra causa delle malattie e effetto delle cure.
Perciò, benché gli antichi Egizi applicassero criteri scientifici nell'ambito di alcune discipline, si può escludere che ne avessero codificato il metodo.

Greci[modifica | modifica wikitesto]

Con i primi pensatori greci assistiamo all'uscita da una cultura improntata al mito e alla comparsa, per la prima volta, di un metodo di pensiero improntato all'uso della ragione, dell'argomentazione, in contrapposizione al dogmatismo religioso. È la nascita della filosofia, progenitrice della scienza. Essi cercavano un sapere che fosse innegabile, un sapere immutabile nel tempo, assoluto, definitivo, incontrovertibile, necessario e indubitabile. Fu definito «sapere» (sophia), «ragione» (logos), «verità» (alétheia) e «scienza» (epistéme).
Talete di Mileto, (624-548 a.C.) fu il primo - a nostra conoscenza - che nacque animista e morì filosofo. Negli scritti pervenutici si legge che Talete, osservando la natura, previde con molto anticipo un grande raccolto di olive e monopolizzò a proprio vantaggio i frantoi, diventando ricco. Ciò introduce uno degli aspetti discriminanti fra la scienza e quelle discipline che vogliono porsi come scientifiche (si veda ad esempio l'astrologia): la capacità di fare previsioni, verificabili, viene ritenuto uno degli aspetti distintivi delle discipline autenticamente scientifiche. Malgrado la sua capacità di fare previsioni, morì d'insolazione, per essere stato obbligato a rimanere senza cappello sotto il sole, durante i Giochi Olimpici.
Ritratto di Aristotele, adattamento da un originale greco di Lisippo
Aristotele (384-322 a.C.) apportò un enorme contributo di sistematizzazione delle conoscenze fino ad allora acquisite e gettò le fondamenta della logica formale, rimaste essenzialmente intatte fino alla fine del XIX secolo, identificando nel sillogismo la forma tipica del processo deduttivo, con cui trarre conclusioni coerenti con le premesse. Aristotele affermava:
« Ebbene, sillogismo è un discorso nel quale, poste alcune cose, qualcosa di diverso da ciò che è stabilito segue di necessità in forza di ciò che è stabilito. Vi è dunque una dimostrazione quando il sillogismo proceda da asserzioni vere e prime, oppure da asserzioni tali che hanno assunto il principio della conoscenza ad esse relativa in forza di certe asserzioni vere e prime; dialettico è invece il sillogismo che argomenta da opinioni notevoli. »
(Aristotele, Topici, in M. Zanatta, Organon di Aristotele, Torino, 1996, vol. II, pp. 115–117)
È importante sottolineare come per Aristotele la conoscenza parte prima di tutto dal soggetto: non è semplice ricezione di dati, ma è opera dell'intelletto attivo, che andando al di là degli aspetti contingenti e transitori della realtà sensibile, riesce ad "astrarne" le forme eterne e intelligibili.
Aristotele inoltre distingueva fra i "possessori della scienza", ossia coloro che conoscono le cause (il "perché") e coloro che conoscono solo i fatti senza aver conoscenza delle loro cause (il "che"). La scienza, per Aristotele, è sempre conoscenza delle cause. Il sillogismo è una costruzione logica formata da una o più proposizioni precedenti (se...) dalle quale nasce una proposizione conseguente (allora...). Il sillogismo di per sé non dà garanzia di verità, ma serve solo a trarre conclusioni coerenti con le verità "vere e prime".
Indubbio anticipatore del moderno metodo scientifico fu Archimede (287-212 a.C.). Lo studio delle sue opere (si ricordi Sui corpi galleggianti, in cui enunciò il famoso principio che porta il suo nome) impegnò a lungo gli studiosi della prima età moderna, fra cui lo stesso Galileo, e costituì un importante stimolo alla rinascita scientifica moderna.

La scolastica medievale[modifica | modifica wikitesto]

Nell'ambito della scolastica medievale anche Tommaso d'Aquino (1225-1274), rifacendosi agli insegnamenti di Aristotele, diede un ulteriore contributo al metodo scientifico formulando una concezione di verità come corrispondenza tra l'intelletto e l'oggetto:
(LA)
« Veritas est adaequatio intellectus ad rem; adaequatio rei ad intellectum; adaequatio rei et intellectus. »
(IT)
« La verità è adeguamento dell'intelletto alla cosa; adeguamento della cosa all'intelletto; adeguamento dell'intelletto e della cosa. »
La verità, secondo Tommaso, ha le caratteristiche dell'universalità e dell'indipendenza. Il nostro sapere, per essere valido, non deve essere determinato da fattori soggettivi e contingenti; la verità è vera di per sé, al tempo di Aristotele come in ogni epoca, pertanto è assoluta e non dipende da nient'altro.
Queste caratteristiche della verità sono riconosciute come tali dalla nostra ragione, che non le apprende dal mondo circostante, sottoposto ai mutamenti della temporalità, ma le trova già all'interno di se stessa: non potrebbe altrimenti riconoscerle come immutabili.
(LA)
« Sed haec adaequatio non potest esse nisi in intellectu. Ergo nec veritas est nisi in intellectu. »
(IT)
« Ma questa corrispondenza non può sussistere se non nell'intelletto. Dunque, la verità non può esistere se non nell'intelletto. »
(De veritate, q. 1 a. 2 s. c. 2)
Come già per Aristotele, le nostre conoscenze nascono dunque dal nostro intelletto: non le riceviamo induttivamente dall'esperienza. Questa distinzione tra soggetto conoscente ed esperienza sensibile sarà fondamentale per i successivi sviluppi della scienza, dando vita alla corrente filosofica detta realismo.
All'ambito della scolastica appartiene, tra gli altri, Ruggero Bacone (1214-1274), il quale nei suoi studi cercò di applicare fedelmente il metodo ipotetico-deduttivo della filosofia aristotelica, rivalutando l'importanza della sperimentazione e sminuendo viceversa le argomentazioni basate sulla tradizione.

Leonardo da Vinci[modifica | modifica wikitesto]

Studio di proporzionalità di un corpo umano, Venezia, Accademia
Anche Leonardo (14521519), nel Rinascimento, si appropriò del pensiero ipotetico-deduttivo aristotelico, respingendo al contempo il principio di autorità. Il suo contributo a porre le basi del metodo scientifico fu notevole, anche se alla fine gran parte dei suoi scritti andarono persi.[8]
Egli anticipò alcuni aspetti della metodologia che venne più tardi concepita nel 1600 da Galileo Galilei:[9] a titolo di esempio ci sono i suoi progetti ingegneristici, le macchine di Leonardo, i suoi disegni del corpo umano, gli studi sulla prospettiva.
In particolare, Leonardo affermò l'importanza di due fattori:
  • la sperimentazione empirica, perché non basta ragionare e fare uso dei concetti se poi non li si mette alla prova;
  • la dimostrazione matematica, come garanzia di rigore logico:
« Nissuna umana investigazione si può dimandare vera scienza, s'essa non passa per le matematiche dimostrazioni. »
(Leonardo, Trattato sulla pittura, Newton Compton, 1996, pag. 3)
Secondo Leonardo, infatti, ogni fenomeno in natura avviene secondo leggi razionali che vivono al di sotto delle sue manifestazioni esteriori.

Galilei e la sperimentazione[modifica | modifica wikitesto]

Il piano inclinato, uno dei primi esempi di esperimento scientifico costruito da Galileo per lo studio del moto gravitazionale.[10]
Con Galileo Galilei, il primo a introdurre formalmente il metodo scientifico,[1] furono introdotti una serie di criteri ancora oggi validi: fu abbandonata la ricerca delle essenze primarie o delle qualità, che era il proposito della filosofia aristotelica, con la riduzione della realtà a puro fatto quantitativo e matematico.[11] Al metodo calcolativo, che pure derivava dalla tradizione sillogistica classica, fu inoltre affiancata l'importanza dell'osservazione empirica, che portò a considerare "scienza" solo quel complesso di conoscenze ottenute dall'esperienza e a questa funzionali: secondo una celebre formula dello scienziato pisano cioè, il libro della natura è scritto in leggi matematiche, e per poterle capire è necessario eseguire esperimenti con gli oggetti che essa ci mette a disposizione.[12]
Ancora oggi la scienza moderna fa distinzione tra l'aspetto sperimentale e quello teorico: né uno né l'altro sono preponderanti, poiché fa parte del metodo scientifico che un modello teorico spieghi un'osservazione sperimentale ed anticipi future osservazioni. Uno dei punti basilari è la riproducibilità degli esperimenti, ovvero la possibilità che un dato fenomeno possa essere riproposto e studiato in tutti i laboratori del mondo.
Non sempre è possibile riprodurre sperimentalmente delle osservazioni naturali, ad esempio, in alcune scienze come l'astronomia o la meteorologia, non è possibile riprodurre molti dei fenomeni osservati e allora si ricorre ad osservazioni e simulazioni digitali. Un altro esempio è l'evoluzionismo di Charles Darwin, che per essere verificato direttamente richiederebbe tempi d'osservazione talmente lunghi (milioni di anni) da non essere riproducibili in laboratorio; in questi casi le verifiche sperimentali si basano sull'analisi genetica, su quella dei fossili e su esperimenti con microrganismi i cui cicli riproduttivi sono estremamente brevi.
Contemporaneo di Galilei fu Francesco Bacone, che appartiene però alla corrente induttivista, alla quale in seguito aderirà anche Newton. Bacone tentò di costruire un metodo rigoroso (l'Organum) al quale egli voleva ricondurre ogni descrizione e affermazione sul mondo, e tramite il quale poter evitare quei pregiudizi (gli Idòla) che ostacolerebbero una reale percezione dei fenomeni della natura.
Con Cartesio si riaffacciò il problema del metodo, originato dal suo proposito di ricondurre la disciplina scientifica sulla strada della "certezza" di fronte alle molteplici possibili e arbitrarie "opinioni" o posizioni filosofiche.

Kant e l'Ottocento[modifica | modifica wikitesto]

« Quando Galilei fece rotolare le sue sfere su di un piano inclinato con un peso scelto da lui stesso, e Torricelli fece sopportare all'aria un peso che egli stesso sapeva già uguale a quello di una colonna d'acqua conosciuta […] fu una rivelazione luminosa per tutti gli investigatori della natura. Essi compresero che la ragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il proprio disegno, e che […] essa deve costringere la natura a rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei, per dir così, colle redini; perché altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso e senza un disegno prestabilito, non metterebbero capo a una legge necessaria. »
(Kant, Prefazione alla Critica della ragion pura [1787], Laterza, Roma-Bari 2000)
Sul finire del Settecento fu fondamentale il contributo di Kant (1724-1804): come già per Aristotele e Tommaso (seppur in modi diversi), anche secondo Kant la nostra conoscenza non deriva dall'esperienza, ma è a priori. Kant criticò David Hume, secondo cui l'oggettività delle leggi scientifiche (in particolare quella di causa-effetto) non era valida perché nascerebbe da un istinto soggettivo di abitudine. Kant operò una sorta di rivoluzione copernicana affermando che la nostra ragione gioca un ruolo fortemente attivo nel metodo conoscitivo; le proposizioni scientifiche in grado di ampliare il nostro sapere sul mondo, infatti, non si limitano a recepire passivamente dei dati, ma sono di natura critica e deduttiva. Egli le chiamò giudizi sintetici a priori: sintetici perché unificano e sintetizzano la molteplicità delle percezioni derivanti dai sensia priori perché non dipendono da queste ultime. Nella Deduzione trascendentale Kant dimostrò che nel nostro intelletto ci sono delle categorie che si attivano solo quando ricevono informazioni da elaborare (cioè sono trascendentali), e giustificano il carattere di universalitànecessità, e oggettività che diamo alla scienza; viceversa, senza queste caratteristiche, non si ha vera conoscenza. Kant può essere fatto rientrare nella corrente filosofica del realismo, poiché postulava una netta separazione tra soggetto conoscente e oggetto (o noumeno), anche se questa distinzione fu spesso foriera di equivoci.
Nel 1866, con la pubblicazione dell'Introduction à l'étude de la médecine expérimentaleClaude Bernard tenta di adottare un metodo, detto sperimentale, nel settore della medicina. L'emergere delle scienze umane e sociali a partire dalla fine del secolo 1800 fino al secolo 1900 ha rimesso in discussione questo modello unico del metodo scientifico.
La fiducia nel carattere di certezza della scienza, che era il proposito cartesiano fatto proprio nell'Ottocento dal positivismo, in particolare da Comte,[13] comincerà via via a declinare, specie in seguito ai lavori di Popper per il quale la scienza è sempre congetturale e si può avere certezza solo del falso.

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